Com’è triste l’Avana

«Quella è la mia casa», dice Pascual, una canna da pesca in mano, mentre approfitta del mare calmo nel tentativo di tirar su qualcosa dal Malecón, il lungomare dell’Avana. L’edificio che indica è rimasto miracolosamente in piedi quando i due palazzetti ai lati sono crollati. «È caduta anche la porta d’ingresso. Ho detto a mia moglie che così entra l’aria fresca del mare e non abbiamo bisogno del ventilatore». I cubani hanno dovuto allenare l’umorismo per sopravvivere.

Un po’ più in là svetta il Paseo del Prado, l’hotel cinque stelle tutto acciaio e vetro: dalla fine del 2019 sovrasta l’angolo che immette al viale elegante da cui ha preso il nome. A ben vedere sembra che l’intero caseggiato si tenga in piedi solo appoggiandosi alle sue 250 camere e le 36 suites. Il Malecón, il salotto notturno della città, è un susseguirsi di palazzi diroccati, alcuni ancora abitati, altri fasciati da imbracature di legno, altri ancora ridotti a un cumulo di macerie.

La prima regola che ogni habanero ha dovuto imparare in questi anni, almeno nei grandi quartieri limitrofi di Habana Centro e Habana Vieja (due dei distretti storici in cui è diviso il cuore della capitale) è camminare in centro strada e non sul marciapiede. Non c’è giorno che non cada un balcone, un soffitto, un cornicione. Lungo le strade, i portoni aperti mostrano il degrado di scale, atrii, pareti; dai marciapiedi spesso escono liquami che tutti evitano con disinvoltura.

L’Avana è ormai tutt’altro che la città decadente e romantica come viene di solito venduta. È una metropoli in rovina, mentre i suoi abitanti sprofondano in uno stato di miseria come fossero tornati al Periodo especial degli anni 90, la crisi economica determinata dalla caduta dell’Unione Sovietica. «La bellezza monumentale del suo corpo urbano, coloniale e repubblicano, la si può quasi solo immaginare. Il pericolo è che questo patrimonio sia già perso per sempre», riflette Abel Tablada, architetto, docente alla Universidad Tecnológica.

«Il centro storico è sottomesso a una catastrofe permanente di bassa intensità», si legge nell’ultimo Plan Maestro 2030 della Oficina del Historiador, l’ente statale che si occupa del recupero e il rilancio della zona più antica della capitale, dove è arrivata a restaurare negli ultimi trent’anni il 33 per cento degli immobili. Nello stesso report datato 2016, si calcolava quasi un crollo al giorno solo in quest’area; il 42 per cento delle case era considerato in stato precario o pessimo. Ad oggi, quei dati impallidiscono.

Proprio il lavoro della Oficina è diventato negli anni un modello. Il suo ispiratore, Eusebio Leal, morto nel 2020, con tenacia aveva conquistato per l’ente una eccezionale autonomia negli interventi e nell’uso delle risorse, senza paragoni nel Paese. Ha creato un volano economico fatto di hotel, negozi, artigiani e ristoranti e tenuto la barra in difesa della residenzialità nel centro storico della città. «Ha dimostrato cosa significa avere una visione; ha riunito i migliori professionisti e scommesso su un approccio pragmatico. Dovrebbe essere una lezione per lo Stato cubano», continua Tablada.

A far precipitare le cose è stata una tempesta perfetta: alle eterne sanzioni Usa si sono sommate la pandemia e la crisi internazionale. E poi ci sono state le conseguenze delle riforme economiche e monetarie avviate due anni fa, che si sono rivelate una terapia choc e maldestra.

Man mano che le risorse in mano a Leal (e le sue energie) si consumavano, prendeva piede Gaesa, la potente holding dei militari, che già nel 2016 ha iniziato a sottrarre alla Oficina business e risorse. Non è ancora chiaro quanto nel lungo periodo questo debiliterà l’autonomia dell’ente: ma quel che si può dire senza ombra di dubbio è che Gaesa non risponde a nessuno, opera nella più completa opacità e sta investendo tutte le sue energie nella costruzione di hotel di lusso.

Questa del resto è l’unica febbre immobiliare che vive la città: lo Stato ci si è tuffato in alleanza con il grande capitale internazionale e ci sta mettendo una montagna di soldi pubblici. Secondo l’Ufficio nazionale di statistica (Onei), nel 2021 i “servizi d’impresa e attività immobiliare” – voce che si traduce quasi tutta in hotel – hanno assorbito il 35,2 per cento degli investimenti statali, a fronte del 2,9 destinato all’agricoltura in un Paese dove il cibo scarseggia, sono comparsi i mendicanti e pure i disperati che frugano nei cassonetti. 

Non si sottraggono al degrado neppure i caseggiati lungo il Paseo del Prado e i dintorni del Capitolio, le cartoline da passeggio per i turisti. Uno scenario reso drammatico dallo scheletro del Saratoga, lo storico albergo che nel maggio dello scorso anno, a una settimana dall’inaugurazione dopo i restauri, è esploso per una fuga di gas. Cattiva manutenzione, si dicono tutti convinti.

Lungo i viali di San Lazaro e San Rafael, i caseggiati fatiscenti erano un tempo cuori pulsanti del commercio; la mitica Calle Galiano, il cui vero nome è Avenida Italia, è lo spettro di quello che era prima della Rivoluzione, col suo pullulare di negozi e di ristoranti, tanto che i più vecchi la ricordano come la esquina del pecado. Proprio qui la cooperazione italiana ha puntato i fari, con un progetto di rigenerazione che – anche grazie a Unioncamere del Piemonte e Lavazza – ha messo sul tavolo 2,4 milioni di euro.

Ma è come rattoppare un corpo urbano massacrato. Non è un caso che negli ultimi anni – mentre il livello di vita precipitava – sia iniziata una migrazione in massa: 250 mila persone solo nell’ultimo anno hanno raggiunto gli Stati Uniti attraverso il Messico e migliaia lo hanno fatto via mare con barche di fortuna. Per non parlare del fiume di ricongiungimenti verso Europa e Sudamerica. In mancanza di dati ufficiali, che la Dirección de Migración y Extranjería non rende pubblici, si stima che oltre 500 mila cubani abbiano lasciato il Paese dalla fine del 2021. Un’emorragia. E così, ogni strada dell’Avana è tappezzata di cartelli “Si vende”: chi vuole partire cede tutto, casa e mobili, anche per 10 o 15 mila dollari, quello che serve per fuggire.

L’abbandono urbano e l’esodo si alimentano a vicenda. «Qualsiasi intervento architettonico non può prescindere dal miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti, dalla riqualificazione dello spazio urbano e dalle opportunità economiche», insiste il professor Tablada. Ma l’Avana è anche un grande albergo diffuso. Le casas particulares, i privati che affittano una stanza ai turisti, qui ci sono ben prima del successo di Airbnb. I proprietari più intraprendenti hanno usato le entrate in euro e dollari per sistemare le case. «Non solo è stato un ossigeno per l’economia, ma è anche l’opportunità per recuperare edifici in stato precario», racconta Orlando Inclán, fondatore di Hrg Arquitectura, un gruppo di giovani architetti che operano all’Avana. «Finora i singoli si sono affidati alle imprese edili, con soluzioni spesso improvvisate o di cattiva qualità: ora sarebbe arrivato il tempo dell’architettura». 

Eppure, se c’è una parola che mai si sente pronunciare all’Avana è proprio “architetto”. La Rivoluzione castrista del 1959 l’ha considerato un mestiere borghese, cancellato dal discorso pubblico e dallo spazio culturale. Solo di recente ha cominciato ad affacciarsi, anche se la legge continua a vietare la professione. Gli architetti scalpitano, discutono, hanno fondato GECA, un network con più di 50 ‘studi’: per ora restano alla finestra.

«La Oficina del Historiador ha fatto da apripista, creando piccole società miste pubblico-private con gruppi di architetti, sulla scia delle PMI che lo Stato ha cominciato a regolarizzare», racconta ancora Inclán. Lui ora partecipa con la sua HRG, anima un think tank di ricerca e segue molti progetti di privati, ma ufficialmente può lavorare solo come ‘decoratore’.

Mentre si discute e si sperimenta l’Avana non sa come salvarsi. Sul grande viale Neptuno, la signora Maryelis è ancora scossa: qualche mese fa un balcone è precipitato fra le vie Marqués González e Lucena, sopra l’ingresso di un negozio statale sempre affollato. «Solo per miracolo non mi trovavo lì», dice. È stato l’ultimo crollo del 2022: altri, nei prossimi mesi seguiranno. Lo sa la signora Maryelis e lo sanno tutti.

il Venerdì

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