La sostenibilità in un algoritmo

Per capire cosa intendiamo per «sostenibilità», Ada Rosa Balzan fa un esempio: prendete il caso di un’azienda agricola che coltiva prodotti biologici, dove però chi li raccoglie non ha un contratto di lavoro regolare e giusto: è un’impresa sostenibile? «No», mette subito in chiaro: «Dev’essere allo stesso tempo una sostenibilità ambientale, sociale e di governance».
Proprio per evitare le trappole di questa parola camaleontica, Ada Rosa Balzan ha pensato che ci volesse un sistema per misurare il grado di sostenibilità di un’impresa. È così che nel 2016 ha messo a punto SI Rating, il primo algoritmo che calcola, dati alla mano, lo standard di sostenibilità, basandosi su tutti i parametri internazionalmente riconosciuti. Dunque: ISO, Regolamenti Europei e Linee guida. L’algoritmo è stato validato da Rina, l’ente di certificazione internazionale, e si avvale della collaborazione del SASB (Sustainability Accounting Standards Board). «L’algoritmo sviluppa oltre 80 miliardi di combinazioni – spiega – Si ottiene un report di sostenibilità dettagliato e puntuale, utile alle imprese non solo per monitorare il loro modello di business, ma anche per formulare strategie oggettive e comunicabili, avere una analisi dei rischi spendibile anche nei contesti finanziari di accesso al credito».
Veronese, classe 1975, Balzan ha una laurea in sociologia e specializzazioni in analisi delle relazioni internazionali, sviluppo umano e ambiente, marketing e comunicazione: una visione larga, proprio come «la sostenibilità o è integrale o non è», sottolinea lei. Fatto sta che in questi 5 anni, da quando ha lanciato la sua start-up attorno all’algoritmo, da un fatturato di 300 mila euro punta a chiudere il 2021 con uno da due milioni. Con la sua doppia sede, a Verona e a Trento, la ARB è diventata una SpA, complici i nuovi soci: l’ISA (Istituto atesino di sviluppo, una holding del Trentino-Alto Adige), la Solfin Turismo e Massimiliano Bonamini, manager nel campo delle consulenze finanziarie.
«Nel frattempo, è cresciuta la sensibilità non solo sociale su questi temi, ma anche di tutto il mondo economico. La pandemia l’ha accelerata e ora sembra un obiettivo esplicito per qualunque azienda».
Certo, racconta Balzan, «molti imprenditori ancora credono che essere sostenibili sia essere rispettosi dell’ambiente o che sia solo una questione di marketing». Da qui la corsa a farsi una nuova reputazione. Attenzione, dice la sociologa: «La sostenibilità incide solo in parte nella reputazione di un’azienda, ma se si fa green-washing il danno reputazionale è enorme». Per questo, insiste, «il primo step è sempre culturale: far capire rischi e opportunità, fare uno screening a tutta l’impresa: cosa produce e come lo produce, e attivare tutti i cambi necessari».
Ada Rosa Balzan ha ormai un portfolio di interventi in ogni settore e con aziende dalle più diverse dimensioni. «Le prime a rendersi conto dell’importanza del tema sono quelle che più operano con l’estero, soprattutto nel food&wine e moda, perché quando ti affacci a un mercato estero ti vengono richiesti standard elevati di sostenibilità». Quelle che scontano più ritardo? «Le micro e le piccole aziende: lo sentono ancora come un costo e credono riguardi solo le grandi. In realtà, essere sostenibili per una micro o piccola impresa facilita l’ingresso e la permanenza nelle reti di fornitura».
La Federturismo l’ha scelta come responsabile su questi temi, per orientare un settore trainante della nostra economia, ma che ha faticato (e fatica) spesso a trovare degli standard di qualità e di sostenibilità. Quello che Ada Rosa Balzan traccia è un quadro di luci e ombre: «Il 2017 è stato l’anno internazionale del turismo sostenibile e sempre nel 2017 il Paese si è dotato di un piano strategico sul turismo. In ritardo? Sì. Ma a dire il vero gran parte del settore è stato uno dei primi a scontrarsi con il tema della sostenibilità, per effetto delle richieste di mercato, soprattutto da parte di partner, consumatori e visitatori europei. Le imprese hanno dovuto fare i conti con le strutture, i luoghi, la gestione delle loro attività, per assicurare standard ormai inevitabili».
Se la pandemia ha accelerato tutto, l’Europa sembra aver dato la spinta decisiva. Non solo perché la sostenibilità è diventato il baricentro dichiarato di ogni progetto, ma ha ampliato anche lo spettro d’azione: «Penso alle nuove linee-guida europee dell’EBA, l’Autorità bancaria europea, che tra i criteri per la concessione e il monitoraggio della gestione dei rischi del credito ha introdotto paletti di sostenibilità». Non solo, in sede europea si sta discutendo di ampliare anche alle piccole e medie imprese l’obbligo del bilancio di sostenibilità, a partire dal 2026. Tutte sfide aperte, dunque. «L’importante è che le aziende siano consapevoli di come stanno su un mercato che è sempre più esigente – sottolinea la sociologa – Sapendo che si possono aprire spazi di business prima inaccessibili, un vero circuito virtuoso di visione e di strategia di sviluppo».

Extra | RCS

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