Il leone o la lupa?

VENEZIA – «Venezia è una città-icona unica nel mondo e gode di una riconoscibilità universale. Le Olimpiadi sono il più grande evento internazionale e promuovere ed organizzare i Giochi nel 2020 permetterebbe alla città e all’intera area metropolitana oggi rappresentata dal triangolo Venezia, Padova e Treviso di accelerare i numerosi progetti di riqualificazione e rilancio, che da anni riempiono l’agenda delle Istituzioni di questo territorio».
E’ il 9 ottobre scorso. Con questo comunicato all’Ansa il sindaco Massimo Cacciari annuncia la proposta di candidatura della città lagunare per l’evento a cinque cerchi. I suoi soci in questa impresa sono Giancarlo Galan, governatore del Veneto e il capo regionale di Confindustria, Andrea Tomat. Sindaco e governatore sono peraltro uscenti e non ricandidati, così che saranno i loro successori a dover gestire una cosa come “il più grande evento internazionale”. In ogni caso, a sostegno del sogno nordestino, arrivano pure le dichiarazioni entusiaste dei primi cittadini di Padova e Treviso, le altre punte del “triangolo” metropolitano.
A stretto giro di posta, però, si fa sentire il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno: «Credo che Roma debba avanzare la propria candidatura per i Giochi del 2020. Più di mezzo secolo dalle fantastica edizione del 1960 possiamo sognare di portare gli anelli olimpici nella capitale d’Italia». L’annuncio trionfale omette il fatto che proprio da quella data tutte le prove di grandi eventi ospitati dal Paese sono sempre stati anche grandi occasioni mancate. Persino le Olimpiadi invernali di Torino, portate come primo esempio di efficienza, si sono trasformate, a telecamere spente, in un luna park mezzo abbandonato. Per non parlare dei recenti mondiali di nuoto, proprio nella capitale, sono finite sotto le lenti giudiziarie e persino con impianti mai ultimati.
Comunque sia, a tre mesi dagli annunci, le due città sono ai ferri corti. Il Nordest lamenta di essere sempre abbandonato e non valorizzato, un insulto per la locomotiva padana, che trascinerebbe – come vuole la vulgata – l’intero Paese. D’altra parte, era stato il Governatore veneto a spiegare la scelta della candidatura esattamente con queste parole:  «Il Nord Est è il motore economico del Paese e un laboratorio di innovazione socio-culturale, oltre che la Regione che più ha contribuito al medagliere olimpico italiano nelle ultime edizioni dei Giochi, a conferma del grande patrimonio sportivo della nostra terra. Venezia 2020 potrebbe rappresentare un progetto strategico per lo sviluppo infrastrutturale dell’intera regione, che potrebbe cogliere una grande occasione per esprimere e presentare al mondo intero il grande potenziale delle sue eccellenze in ogni campo».
Primato della “razza Piave”, direbbe il sindaco di Treviso, contro Roma ladrona. Tutti continuano a raccontarsi la storia del mito incompreso del Nordest. Persino il Coni farebbe parte del complotto, secondo Massimo Caccari, invidioso del “nostro progetto [che] è invece serio, completo, pulito, economicamente vantaggioso”. Quale sia veramente il progetto, in realtà, nessuno lo sa ancora, visto che per ora si è visto solo un abbozzo di ipotesi e di idee vaghe.
Le due città, comunque,  dovranno consegnare i loro primi dossier al Coni il 5 marzo. E la scelta si saprà solo a cavallo tra aprile e maggio. L’iter prevede un passaggio in una commissione che esaminerà gli 11 punti richiesti dal Comitato Olimpico Internazionale. La Giunta Coni deciderà se e quale città portare alla ratifica del suo Consiglio nazionale: potrebbe bocciarle entrambe, presentarne una, o anche tutte e due, se impazzisce.
Fulvio Bianchi nel suo blog sul sito de la Repubblica ha scritto che Roma la spunterà, per tre motivi. Primo, dice: “il CIO ha sempre privilegiato le candidature dove è prevista una costruzione il più possibile ridotta di impianti sportivi: Roma ne deve costruire solo quattro (bacino di canottaggio e canoa a Settebagni, campo di tiro a volo e tiro a segno a Lunghezza, velodromo che può essere anche temporaneo e Palasport a Tor Vergata da 18.000 posti per il basket e finali di volley), mentre Venezia deve costruire 15 impianti (fra cui uno stadio da 80.000 posti)”.
Secondo: la capitale offre una concentrazione di luoghi, mentre a Nordest gli eventi sportivi sarebbero dispersi. Il CIO preferirebbe la prima, secondo tutti gli osservatori, anche se l’impatto eco-sociale si ridurrebbe, a logica, nel caso di una diffusione sul territorio. Ma tant’è.
Terzo: i costi minori danno un altro vantaggio a Roma, a cominciare dalle minori costruzioni da realizzare, compresa la cittadella delle delegazioni sportive e manageriali, che a Venezia finirebbe, assieme al nuovo stadio, nella triste Tessera, quartiere della periferia nord di Mestre, vicino all’aeroporto. Proprio qui, si sta giocando un’enorme partita urbanistica, grazie ad una variante – conosciuta come “Quadrante di Tessera” – fortemente voluta dalla Giunta Cacciari. Stiamo parlando di 375 mila metri quadri di terreni che da agricoli diventano edificabili con destinazione ad Attività Economiche Varie (Aev), il cui nome già impressiona. Secondo l’accordo dell’aprile 2008 tra Comune, Regione e Save (la società aeroportuale) sarà possibile costruire fino a un milione e 100 mila metri cubi di cemento a destinazione commerciale, direzionale e ricettiva dove troverà posto anche la nuova sede del Casinò. Lo stadio sarà al centro di una vera e propria cittadella sportiva, di dimensioni pari a 335 mila metri cubi.
Così, un grande fan dei giochi olimpici nel cuore del Veneto è uno dei manager d’assalto del Quadrante di Tessera, Massimo Miani, presidente della Marco Polo Spa. A La Nuova Venezia la racconta così: «La variante arriva in Comune mentre noi procediamo alla selezione dell’advisor finanziario-immobiliare a cui affideremo lo studio sul migliore mix di funzioni per lo sviluppo del Quadrante. Le Olimpiadi? Una opportunità enorme per la città. E il Quadrante è il progetto che qualifica la proposta».
Ad opporsi, invece, sono gruppi di associazioni ecologiste e comitati di quartiere che, nel recente meeting dei Cantieri Sociali, “Il Veneto che vogliamo”, hanno denunciato la mancanza di trasparenza e richiesto alle istituzioni un confronto pubblico. Franco Rigosi, di Medicina democratica, ha nettamente bocciato l’idea olimpica, che ha «mosso subito il partito degli affari, molto trasversale ai partiti ufficiali, insaziabile perché non gli bastano i programmi devastanti per il territorio già in essere (Tav, metropolitana sublagunare, Tessera city, Veneto city) e ne aggiunge altri (megastadio, megapiscina, villaggio olimpico)».
Nell’area ambientalista, però, c’è chi vorrebbe accettare la sfida, provando a spostare il punto di vista. Beppe Caccia è consigliere comunale dei Verdi a Venezia: “Non parlo solo di un’olimpiade “sostenibile”, con gli impianti che si smontano ad evento finito, in modo da ridurre l’impatto e a non consumare territorio. Questo è il minimo da chiedere, ovviamente. Ma allo stesso tempo mi chiedo: può essere l’occasione per una grande e positiva trasformazione del nostro territorio definitivamente fuori dal Novecento?”. Tre gli obiettivi, secondo Caccia: “Risorse per risanamento di Porto Marghera e rilancio di una green economy; Venezia città delle energie solari; reinvenzione della mobilità e del trasporto”.
Ecologica o disastrosa, malefica o geniale, la candidatura olimpica sembra riportare il dibattito alle questioni di base. Chi decide e come partecipare alle scelte. Che tipo di scelte e di futuro per la città. Come si usano i grandi eventi. E su tutto questo, il deficit sembra già incolmabile.

Carta EstNord – mensile

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